Compie 70 anni Isabelle Adjani il 27 giugno e per chi l’ha amata in “Adele H”, guardata con ammirazione in “Possession”, temuto per lei quando a più riprese si è allontanata dal cinema e messo a rischio sia carriera che salute, pare impossibile che il tempo sia passato tanto in fretta. Per la Francia, giova ricordarlo, Isabelle Yasmina Adjani è un mito così importante da aver indotto il sistema dei mass media, ormai 50 anni fa, a sostituire l’icona Brigitte Bardot con la sua a simbolo della nazione come Marianna col berretto frigio. E’ nata a Parigi, cresce nella periferia parigina, è dotata per le lingue e parla fluentemente l’inglese oltre al tedesco e al francese, va al liceo e debutta al cinema ad appena 14 anni in un film per bambini, “Le petit Bougnat” nel 1970. Nel ’75 decide di lasciare la Comédie Française (che l’ha ammessa nonostante la precocità e l’ha fatta debuttare con un testo di Molière) per abbracciare stabilmente il cinema. A 19 anni è la protagonista a fianco di Lino Ventura del maggior successo dell’anno: la commedia generazionale “Lo schiaffo” diretto da Claude Pinoteau.
Dopo averla vista, François Truffaut si innamora dell’attrice e della ragazza e la convince a vestire i panni della sfortunata Adèle Hugo per uno dei suoi film più amati: “Adele H” che porta la ventenne protagonista fino alla soglia dell’Oscar. Per quasi 30 anni risulterà la più giovane candidata al massimo premio dell’Academy nonostante reciti in una lingua diversa dall’inglese.
Le successive conferme della critica (“L’inquilino del terzo piano” di Roman Polanski e “Barocco” di André Techiné) ne fanno una diva internazionale, ma segnano anche profondamente la sua psiche, sensibile fino all’estremo nell’empatia con personaggi difficili e borderline. Dopo una parentesi americana coronata dal successo di “Driver” diretta da Walter Hill, torna in Europa nel 1979 per il “Nosferatu” di Werner Herzog. Di lei dirà il mitico direttore del festival di Cannes, Gilles Jacob: “E’ un’attrice di incredibile intensità e dalla sensibilità a fior di pelle. Quella pelle sublime, quel colorito così pallido, quello sguardo color nontiscordardimé, quel fascino, come resisterle? C’è qualcosa di incomprensibile nelle star.
Brillante, piena di talento, adulata, solitaria, Isabelle mi sembrò, quando venne a presiedere la giuria del festival nel 1997, la persona più inadatta alla felicità che potesse esistere”. E perfino Brigitte Bardot, ammise: “Non sono più interessata al cinema e alle attrici, ma trovo meravigliosa Isabelle Adjani”.
Tutto questo non poteva passare senza lasciare un segno su quella ragazza dal talento smisurato, fiorita troppo presto e destinata a una gloria che, segretamente, non voleva. Dopo “Le sorelle Bronte” (ancora con Techiné) scompare dagli schermi, rifiuta un film con Luis Bunuel e solo la sfida estrema di “Possession” (1981) girato a Berlino sotto la guida del sulfureo regista Andrzej Zulawski, la convince a tornare. E’ un film così disturbante e doloroso che, nonostante la Palma d’oro come miglior attrice a Cannes diviso con se stessa per un altro film, “Quartet” di James Ivory, la getta in uno sconforto profondo culminato in un sospetto tentativo di suicidio.
All’inizio degli anni ’80 diventa un’icona del genere noir con un’infilata di titoli come “Mia dolce assassina” di Claude Miller, “L’estate assassina” di Jean Becker, “Subway” di Luc Besson; ma è nella doppia veste di attrice e produttrice che riconquista il centro della scena nell’88 con un progetto da lei fortemente voluto: “Camille Claudel” diretto da Bruno Nuytten e recitato con Gérard Depardieu. Il film le va vincere l’Orso d’argento a Berlino, le regala il terzo premio César e la seconda candidatura all’Oscar ma la disamora anche del mestiere.
Per i successivi cinque anni appare sporadicamente e attende di vestire i panni di Margherita di Valois ne “La regina Margot” di Patrice Chereau (1994) per tornare al suo status di “regina” del cinema francese.
La sua turbolenta vita sentimentale è in quel momento segnata dalla relazione con Daniel Day Lewis (che la lascerà via fax anni dopo), Hollywood non le dà più la stessa emozione dei primi anni, il carattere instabile e una discussa chirurgia estetica la allontanano nuovamente dal set e semmai decide di privilegiare produzioni nazionali senza troppo impegno, spesso scegliendo le serie televisive. Si impegna in politica per la democrazia della sua terra d’origine, l’Algeria, deve difendersi da campagne diffamatorie che la descrivono malata e forse perfino già morta, lascia il segno per un’inattesa libertà intellettuale. “#MeToo – ha detto nel pieno della polemica sugli abusi alle donne – è fondamentale per dare voce a tutte le donne abusate e molestate, violentate, non solo alle attrici.
Testimoniare, chiedere giustizia, uguaglianza… Questo devono fare le minoranze in una società dove il dominio dell’uomo bianco eterosessuale rimane potente. Il femminismo non è una dichiarazione di guerra, al contrario è la necessità di trovare un’intesa pacifica per far sì che paura e violenza scompaiano dalle relazioni uomo-donna”. Una prova della sua ritrovata maturità artistica nel distacco dal fascino dei riflettori? Nel 2022 partecipa alla commedia di Nicolas Bedos “Masquerade” imperniata sulle truffe e le meschinità di un gruppo di intellettuali e sedicenti artisti sulla Costa Azzurra, a due passi da Cannes. Isabelle interpreta una diva sul viale del tramonto, sempre elegante e celata da un cappello con veletta e si fa beffe del suo stereotipo di donna capricciosa, inconsistente, cattiva e insensibile. Basta vederla per capire che siamo di fronte invece a una grande attrice nel pieno della maturità. Di recente è tornata, diretta da Susanne Bier nella serie Netflix “The Perfect Couple” con Nicole Kidman e Liev Schreiber.
Dobbiamo solo attendere un copione e un regista all’altezza della vera Adjani, fin qui inchiodata per sempre a quella ragazza dalla pelle di luna e dallo sguardo perso che il cinema ha imparato ad amare cinquant’anni fa.
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