Si apre una nuova fase sull’affaire Almasri, con una resa dei conti tra le forze politiche in Parlamento. Il Tribunale dei ministri ha inviato alla Camera la richiesta di autorizzazione a procedere per il sottosegretario Alfredo Mantovano, il ministro Matteo Piantedosi e il guardasigilli Carlo Nordio.
“Appare verosimile che l’effettiva e inespressa motivazione degli atti e delle condotte tenute tanto dal ministro Nordio – nel decidere di non dar corso alla richiesta di cooperazione della Cpi relativa sia all’arresto che al sequestro – quanto dal ministro Piantedosi – nel decretare l’espulsione dal territorio dello Stato – ed infine dall’Autorità delegata Mantovano – nel richiedere il volo Cai per l’accompagnamento in patria – sia da rinvenirsi, piuttosto, nelle preoccupazioni palesate dal Prefetto Caravelli (il direttore dell’Aise, ndr), nell’ambito delle riunioni intercorse tra i vertici istituzionali, riferite a possibili ritorsioni per i cittadini e gli interessi italiani in Libia derivanti dal mantenimento in vinculis di Almasri”. Così il tribunale dei ministri negli atti dell’inchiesta su Almasri con cui cui chiede l’autorizzazione a procedere nei confronti del Guardasigilli, del sottosegretario Mantovano e del ministro Piantedosi, depositati alla Camera.
“Il decreto di espulsione emesso dal ministro dell’Interno nei confronti dell’Almasri” è “motivato in relazione alle esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica”, ma ha portato “ad un risultato paradossale – vale a dire ricondurre il ricercato Almasri, libero, lì dove avrebbe potuto continuare a perpetrare condotte criminose analoghe a quelle di cui era già accusato. Ne consegue che l’atto amministrativo, per come motivato, risulta viziato da palese irrazionalità e, come tale, illegittimo”. Così il tribunale dei ministri negli atti dell’inchiesta su Almasri con cui cui chiede l’autorizzazione a procedere nei confronti del Guardasigilli, del sottosegretario Mantovano e del ministro Piantedosi, depositati alla Camera.
“Contrariamente a quanto sostenuto dal ministro Nordio, sia in Parlamento che nella memoria, la legge – pur conferendo a lui il compito di curare in via esclusiva i rapporti dell’Italia con la Cpi e di dare impulso alla procedura, non gli attribuisce alcun potere discrezionale (…) ma, anzi, lo investe della funzione di garante del buon esito della stessa”. Così il tribunale dei ministri negli atti dell’inchiesta su Almasri con cui cui chiede l’autorizzazione a procedere nei confronti del Guardasigilli, del sottosegretario Mantovano e del ministro Piantedosi, depositati alla Camera.
“Posto che tanto la legge di ratifica dello Statuto della Cpi, quanto la legge di attuazione e recepimento della convenzione sulla tortura pongono a carico degli Stati parte l’obbligo rispettivamente di arrestare e di estradare chi sia destinatario di un mandato di arresto di un Tribunale internazionale, a seguito del provvedimento della Corte d’Appello di scarcerazione, l’Almasri non avrebbe mai potuto essere espulso, né tanto meno accompagnato in patria su disposizione di due alte cariche dello Stato, quali il ministro dell’Interno Piantedosi e il sottosegretario Mantovano, ciò risolvendosi in una chiara violazione delle citate norme internazionali pattizie”. Così il tribunale dei ministri negli atti dell’inchiesta su Almasri con cui cui chiede l’autorizzazione a procedere nei confronti del Guardasigilli, del sottosegretario Mantovano e del ministro Piantedosi, depositati alla Camera.
“Sia i ministri Nordio e Piantedosi, sia il sottosegretario Mantovano erano perfettamente consapevoli del contenuto delle richieste di cooperazione inviate dalla Cpi e, in particolare, del mandato di arresto spiccato nei confronti dell’Almasri. Non dando corso a tali richieste il primo, decretando il secondo la formale espulsione del ricercato con un provvedimento (…) viziato da palese irrazionalità e disponendo il terzo l’impiego di un volo Cai che ne ha assicurato l’immediato rientro in patria, hanno scientemente e volontariamente aiutato il predetto a sottrarsi alle ricerche e alle investigazioni della Cpi”. Così il tribunale dei ministri negli atti dell’inchiesta su Almasri con cui cui chiede l’autorizzazione a procedere nei confronti del Guardasigilli, del sottosegretario Mantovano e del ministro Piantedosi, depositati alla Camera.
Sul caso del generale libico scarcerato e rimpatriato con un volo dei Servizi ora dovrà pronunciarsi la Camera dei deputati con un voto, entro i prossimi sessanta giorni, che deciderà se avviare o meno un processo penale nei confronti dei vertici di governo indagati, ad eccezione della premier Meloni, per la quale i giudici del tribunale ministeriale hanno già disposto l’archiviazione.

Sulle accuse mosse alle autorità di governo ci sono dei distinguo: se per tutte e tre si ipotizza il favoreggiamento per la mancata consegna alla Corte penale internazionale del presunto torturatore libico, su Piantedosi e Mantovano pende anche il reato di peculato per l’utilizzo del Falcon 900, l’aereo di Stato usato dal governo per il rimpatrio di Almasri. Il titolare di via Arenula è invece accusato di omissione di atti di ufficio in quanto – secondo le indagini – non chiese tempestivamente la custodia cautelare del generale presunto torturatore, come richiesto dalla Corte penale internazionale.
Su quest’ultima posizione si erano particolarmente concentrati gli inquirenti in questi mesi, tanto da chiedere di ascoltarlo. La giunta per le autorizzazioni di Montecitorio ha ora un mese circa per visionare gli atti (ma potrebbe anche prendere più tempo) ed infine inviarli all’Aula, che si esprimerà poi dopo trenta giorni, anche se sembra scontato il no all’autorizzazione a procedere. Ma la questione potrebbe non esaurirsi qui: non si può escludere che, una volta esauriti i necessari passaggi con il Tribunale dei ministri, la Procura di Roma possa indipendentemente valutare il ruolo svolto da altri soggetti nella vicenda, per i quali si seguirebbe il percorso della giustizia ordinaria.

Secondo alcune testimonianze già rese ai giudici del Tribunale dei ministri, il capo di gabinetto di via Arenula, Giusi Bartolozzi, avrebbe svolto un ruolo importante nello scambio di comunicazioni sulla faccenda del generale e sulla gestione della sua liberazione. Ad assumere di fronte ai magistrati una dura posizione nei suoi confronti sarebbe stato già diversi mesi fa il numero uno del Dipartimento per gli Affari di Giustizia (Dag) di allora, Giovanni Birritteri.
L’ex funzionario fornì una propria versione prendendo di fatto le distanze dalla vicenda e, a quanto emerse da alcuni testi, i tecnici del ministero avrebbero suggerito una bozza per formulare un nuovo mandato di cattura per Almasri, affinché potesse essere consegnato ai giudici dell’Aja. Anche Bartolozzi fornì la sua versione al Tribunale, documentandola con una mail del 19 gennaio scorso, la quale certificherebbe che Birritteri l’avrebbe informata soltanto in merito all’arresto del generale libico, ma gli atti sul mandato di cattura della Corte penale internazionale non erano ancora giunti: dunque nessun tentativo di ritardare le procedure per far venir meno il fermo.
Preso atto delle versioni dei tecnici, a fine maggio i giudici avevano chiesto di ascoltare anche il ministro Nordio. Poco dopo, l’avvocato Giulia Bongiorno – che segue il caso e assiste tutti gli esponenti del governo – chiese per iscritto al Tribunale dei ministri di ascoltare il sottosegretario Alfredo Mantovano. Ciò perché il sottosegretario aveva seguito ogni fase della vicenda e poteva, nella valutazione della legale, garantire un’informazione completa. La risposta dei giudici fu che non erano interessati ad ascoltare la versione di Mantovano bensì quella di Nordio e che ritenevano le due posizioni “non fungibili”. Il Guardasigilli non ha mai deposto e nel frattempo l’avvocato Bongiorno ha chiesto e ottenuto di visionare la grosse mole di atti contenuti nell’inchiesta, consapevole che il prossimo step sarà quello determinante.
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